L’obiettivo evolutivo per il bambino è raggiungere una sufficiente autonomia pur nella dipendenza relativa dai genitori.
Recita un proverbio del Quebec: “I genitori danno due cose ai figli: le radici e le ali. La grandezza e il vigore delle ali dipende dalla profondità e dalla robustezza delle radici”.
L’autonomia consiste nella capacita di “fare da soli” ma più in generale possiamo intendere l’autonomia come una maturità affettiva, cioè la capacità di vivere le relazioni con gli altri ed allo stesso tempo di affermare la propria individualità.
Secondo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby, sulla quale vi invito a documentarvi perché molto interessante, l’autonomia del bambino si costruisce sulla solidità dei suoi legami, cioè si basa sulle risposte di accudimento sicure, coerenti ed organizzate da parte dei genitori. Il neonato, il cui bisogno fisiologico di dipendere dall’ambiente sarà stato appagato e i cui processi di crescita saranno stati sostenuti nel tempo, diventerà un bambino con una sufficiente fiducia di base, capace di distinguere il mondo conosciuto e familiare da quello esterno ed ignoto che non sarà tuttavia temuto, ma esplorato con vivace curiosità. In questo processo è fondamentale l’atteggiamento dei genitori: un accudimento sensibile non soffoca il bambino in un legame iperprotettivo o incorente, né, all’opposto, espone il bambino ad esperienze precoci e frustranti, che lo fanno sentire perso nel vuoto. Un genitore “sufficientemente buono” riconosce il bambino come persona, con bisogni che devono essere adeguatamente compresi e soddisfatti, con sensazioni e risorse proprie, capace di funzionare in modo separato, di esplorare in modo sicuro e libero.
La vicinanza di adulti attenti e capaci di sintonizzarsi con i suoi bisogni affettivi e di relazione permette al bambino di creare una sorta d’immagine interiore delle figure di attaccamento. Questa immagine, nella mente del bambino, sarà quella che gli permetterà di sentirsi sempre meno a disagio quando l’adulto si allontana.
Un bambino che nei suoi primi tre anni di vita ha sperimentato reciprocità e sintonia con gli adulti di riferimento, un bambino i cui genitori hanno imparato a decodificarne i bisogni ed a rispondervi in modo sicuro, coerente, organizzato, si avvierà con base sicura verso la conquista dell’autonomia. E’ importante che, in questo percorso, il genitore sappia guidare, dare consigli, stimolare e porsi come modello di comportamento per il bambino e che sappia anche disapprovare e reindirizzare. E’ altrettanto importante che il genitore lasci al bambino degli spazi e dei momenti in cui il piccolo possa prendere l’iniziativa, senza interferenze, possa anche sbagliare ed andare incontro a piccole frustrazioni, rimanendo disponibile ad accoglierlo, consolarlo, guidarlo se l’esperienza non e andata a buon fine. Ogni tanto è quindi necessario fare un passo indietro, mettersi di lato, ed osservare i bambini da lontano. Non soffocateli con eccessive preoccupazioni per la loro incolumità, non prendeteli sempre in braccio quando hanno già imparato a camminare, non chiudetegli la bocca con il ciuccio tutte le volte che ve lo chiedono.
Semplificando e schematizzando, possiamo descrivere le caratteristiche di alcuni stili educativi che vengono citati in letteratura.
Stile autoritario: è caratterizzato da un eccessivo controllo sul bambino, il genitore adotta nell’educazione dei figli principi molto rigidi, con regole e punizioni che devono essere accettate senza discutere. In questo tipo di stile educativo il genitore pretende l’obbedienza senza dare informazioni e spiegazioni sul perché, impone regole assolute e inflessibili, tenta di plasmare il figlio secondo un suo ideale non accettandolo per quello che è. L’autorità del genitore viene subita dal bambino, non interiorizzata. E’ uno stile che ostacola la creatività e l’autonomia e che, sebbene fosse molto più presente in passato, contraddistingue ancora molti genitori.
Stile permissivo: il bambino è lasciato “libero” senza limiti e regole. Il genitore è affettuoso, centrato sul bambino, ne soddisfa ogni desiderio, ma non esercita il necessario controllo, non fornisce una guida, non si assume la responsabilità di correggere, indirizzare, dare regole; il bambino viene consultato e gli viene permesso di scegliere anche su ambiti in cui non ha sufficiente maturità per farlo. Questo stile educativo favorisce l’insicurezza, l’immaturità, una scarsa capacita di autocontrollo.
Nella mia esperienza professionale ho spesso fatto notare ai genitori quanto possa essere controproducente consentire ai bambini di decidere, anche e soprattutto quando i bambini sono molto piccoli. L’abitudine di porre domande che presuppongono una scelta spesso si ripercuote sui genitori stessi. Se ad esempio chiedo ad un bambino piccolo: “Vuoi andare dalla nonna o con la mamma a fare la spesa?” in realtà sto generando in lui una profonda insicurezza. Di fatto il bambino non può assumersi la responsabilità di decidere anche perché ogni scelta presuppone una rinuncia, ma se un adulto di questo è consapevole, il bambino no, e si rischia di generare ulteriore frustrazione.
Non fate ai bambini domande che presuppongono il dover scegliere. Decidete voi per loro. In realtà è quello che vogliono. Se gli consentirete di decidere a due anni non si capisce perché a 15 non possano fare altrettanto.
Stile iperansioso: si riscontra in quei genitori che si preoccupano eccessivamente per la sicurezza fisica del bambino. Una mamma potrebbe, ad esempio, riprendere il bambino con commenti del tipo: “Non salire sull’albero, potresti cadere”, “Non correre, potresti inciampare e spaccarti la testa”, “Non toccare il gatto, potrebbe avere le pulci”. Un bambino che si sente frequentemente lanciare messaggi di questo tipo apprenderà una visione della vita basata sulla convinzione che i pericoli sono dappertutto e potrebbero succedere cose orribili. I genitori nei quali prevale questo stile educativo tendono ad avere figli timidi, paurosi, alla ricerca ossessiva di sicurezza.
Lavorare sulle proprie insicurezze e sull’ansia che qualcosa di irreparabile possa accadere è il compito del genitore che desidera crescere un figlio sufficientemente sicuro ed in grado di superare gli ostacoli della vita. Di fronte ad una nuova esperienza l’atteggiamento corretto è quello che sostiene il figlio e che, da lontano, vigila. “Sono sicuro che sei capace di salire le scale da solo. Io sono accanto a te se hai bisogno”.
Stile iperprotettivo: ha delle caratteristiche simile al precedente, però in questo caso il genitore, anziché stare in ansia per l’incolumità fisica del bambino, si preoccupa dell’incolumità emotiva in modo eccessivo. Si tratta di genitori che cercano di evitare al bambino ogni minima frustrazione, perché temono che potrebbe soffrire in modo irreparabile; viene però ostacolata nel bambino la possibilità di imparare a tollerare i disagi e le frustrazioni. I genitori che adottano questo stile educativo temono di sentirsi in colpa se non riescono ad eliminare tutte le possibili fonti di disagio dalla vita del bambino, rinforzando in lui la tendenza ad evitare le difficoltà. Il modo di pensare di questi genitori è caratterizzato da convinzioni del tipo: “I bambini non devono mai ricevere nessuna frustrazione”; “Ogni esperienza spiacevole può diventare un trauma che segnerà per sempre il bambino”; “E’ terribile se il mio bambino sperimenta una sofferenza anche minima, quindi devo prevenire ad ogni costo che ciò avvenga”. Questo stile educativo genera spesso bambini con bassa tolleranza alla frustrazione ed eccesso di egocentrismo. Si tratta dello stile tipico dei cosiddetti “genitori spazzaneve” dei quali abbiamo avuto già modo di parlare.
Stile ipercritico: è caratterizzato dalla tendenza a notare ed ingigantire gli errori e i difetti del bambino: l’adulto è pronto a notare e ad intervenire per ogni minimo difetto, per ogni comportamento sbagliato, mentre non presta attenzione, e difficilmente gratifica, ai comportamenti positivi e adeguati. Ne consegue che l’interazione col bambino avviene quasi esclusivamente sotto forma di rimproveri. E’ un modo di rapportarsi caratterizzato da un’elevata frequenza di comportamenti di critica che possono essere manifestati apertamente oppure in modo sottile. Tali comportamenti sono: rimproveri eccessivi, rimbeccate, manifestazioni di biasimo, commenti moralistici, svalutazione del bambino. Questo stile tende ad instillare nel bambino la paura di sbagliare, la paura di essere disapprovato, un basso livello di autostima, comportamenti di evitamento. I bambini che crescono in questo stile educativo spesso diventano adulti fragili, insicuri, sfiduciati, che fanno molta fatica a trovare una propria realizzazione personale perché ritengono di non essere meritevoli di nulla.
Stile perfezionistico: è tipico di quei genitori che considerano sbagliato tutto ciò che non è perfetto al cento per cento, in quanto esigono, dai propri figli, livelli di prestazione molto elevata, senza essere abbastanza oggettivi nel considerare quali siano le difficoltà del compito. Questo stile educativo è sostenuto dalla convinzione che bisogna riuscire bene in tutte le cose e che il valore di un bambino, come quello dei suoi genitori, dipende dai successi che egli riesce a conseguire. Tali genitori comunicano al bambino che egli merita di essere amato solo se riesce in tutto quello che fa. Il bambino acquisisce egli stesso un atteggiamento perfezionistico ed impara a temere la disapprovazione ed il rifiuto qualora non riesca completamente bene in ciò che intraprende. Tutto ciò porta il bambino ad essere molto in ansia quando si cimenta in qualcosa di impegnativo (compiti, esami, gare ecc.) in quanto la possibilità di sbagliare viene considerata una catastrofe.
Stile incoerente: i genitori che presentano questo stile tendono a gratificare o a punire il bambino in modo imprevedibile ed incoerente, per esempio a seconda del loro umore anziché in base all’adeguatezza o meno del comportamento. L’incoerenza può essere intrapersonale, come nel caso suddetto, oppure può essere interpersonale, quando i due genitori reagiscono in maniera differente l’uno dall’altro nei confronti dello stesso comportamento del bambino. Si tratta di genitori che spesso rimproverano il figlio per i suoi errori senza stabilire con lui delle regole chiare, perciò alimentano insicurezza e confusione.
Stile autorevole: è l’approccio educativo più coerente. Il genitore richiede rispetto e stabilisce delle regole, riconosce i bisogni del figlio e si assume la responsabilità di guidarlo, crea una relazione affettuosa ed educa all’autonomia. Fa richieste adeguate alle capacità del figlio, mostra i sentimenti in modo autentico e rispetta i sentimenti e i desideri del bambino, accetta incondizionatamente il bambino ma non sempre approva il suo comportamento, manifesta fiducia verso se stesso e verso il figlio. Utilizza una comunicazione assertiva e propositiva. Cosi confezionata, sembra la descrizione del genitore ideale, e come tale, un po’ lontano dalle realtà familiari che ci circondano, dove il genitore non solo è consapevole del difficile ruolo che gli compete, ma sa anche che non è l’unico che deve svolgere, dato che l’organizzazione della vita propria e altrui è diventata sempre più complessa. Mi sento comunque di poter affermare che lo stile autorevole può rappresentare un obiettivo da raggiungere, un modello a cui ispirarsi, un riferimento educativo con cui confrontare il proprio stile, considerato che ogni genitore ne ha uno proprio, che spesso adotta inconsapevolmente.
Non bisogna infine dimenticare che ogni genitore educa i figli attingendo alle proprie conoscenze e convinzioni in merito al comportamento che una madre ed un padre dovrebbero adottare ed è oggettivamente condizionato in questo dai propri vissuti personali e quindi anche da quello che ha personalmente sperimentato a sua volta come figlio, sia concretamente che emotivamente.
Ognuno di noi si comporta come crede sia giusto comportarsi, ma anche come ha bisogno di comportarsi, cioè sulla base di motivazioni profonde, di bisogni affettivi che possono essere difficili da decodificare.
Fare il genitore non è cosa semplice. Genitori non si nasce, si diventa, ma mai come in questo momento storico è davvero necessario sapersi rimettere in discussione e chiedere aiuto nel difficile compito dell’educare.
Anna Maria Montanaro
Pedagogista