L’ESPRESSIONE DELL’ AGGRESSIVITÀ NEI BAMBINI E NELLE BAMBINE
Per i bambini piccoli l’aggressività rappresenta una risposta istintiva alla loro rabbia o paura ed un modo per affermare il proprio sé.
Ogni tappa evolutiva del bambino è accompagnata anche da manifestazioni “aggressive”:
• ad un anno e mezzo il bambino “assaggia” gli altri bambini, come fa con i giochi attorno a lui e spesso si spaventa delle reazioni che vede. E’ aggressivo senza intenzionalità, il pianto dell’altro è interessante e il bambino cerca l’adulto per comprendere la situazione.
• a due anni il bambino comincia a mostrare la propria autodeterminazione, c’è e non vuole passare inosservato.
• a tre anni il bambino incomincia ad affermare la leadership, vuole primeggiare e ottenere consensi.
In tutto questo percorso di sviluppo, a qualunque età, la figura dell’adulto che interviene, e le modalità di intervento, sono molto importanti. Il ruolo dei genitori e delle figure di riferimento non deve essere aggressivo: l’aggressività non si combatte con l’aggressività! I bambini, infatti, imparano a comportarsi dai modelli che vengono loro proposti.
Ad un anno, l’adulto potrà aiutare il bambino a capire la differenza tra oggetti inanimati (giochi) e gli altri bambini, mostrandogli l’effetto delle sue azioni. A due anni cercherà di guidare il bambino verso l’accettazione dell’altro, proverà a fargli capire l’effetto delle azioni, espliciterà il divieto “non si fa!”, favorirà la condivisione degli oggetti se la contesa del gioco ha provocato reazioni aggressive ma senza forzare troppo.
L’adulto può anche riconoscere verbalmente la rabbia del bambino, (“vedo che sei arrabbiato….”), facendolo sentire compreso, accogliendo la sua emozione senza giudicarlo e favorendo la verbalizzazione spontanea laddove il bambino sia già in grado di farlo; può suggerire modi diversi di affrontare la situazione (“avresti potuto provare a…”).
Spesso è anche importante aiutare un bambino ad imparare a tollerare la frustrazione giocando insieme a lui: rispettando le regole di un gioco, i turni, la possibilità di vincere e di perdere, ecc.
MORSI E GRAFFI AL NIDO
Regolamentare l’aggressività dei bambini piccoli è sicuramente un compito educativo importante sia per i genitori che per le educatrici, occorre osservare i comportamenti del bambino per cercare di comprenderne le motivazione e per mettere in atto una strategia efficace. Nei bambini che frequentano il nido d’infanzia, ad esempio, il morso può essere il risultato finale di processi psichici diversi:
- può essere l’espressione di un desiderio conoscitivo dell’altro (15-20 mesi circa). Al nido spesso succede che i bambini esplorano con la bocca gli altri bambini come se fossero oggetti;
- a volte il morso può essere anche la conseguenza di un bacio “troppo focoso”;
- può essere una reazione dovuta al fatto che il bambino al nido non riesce ad avere un’attenzione totale e prolungata da parte dell’adulto e quindi cerca di attirare l’attenzione in questo modo;
- può insorgere come conseguenza di un conflitto scaturito per l’ottenimento di un gioco (reazione ad una frustrazione);
- può essere una manifestazione di gelosia in seguito all’arrivo in sezione di un nuovo bambino che “cattura” l’attenzione delle educatrici (esigenza di affermare la propria individualità, “ci sono anch’io, esisto, ti ricordi di me?”) ;
- può essere la manifestazione di una rabbia interiore che non necessariamente ha origine all’interno del nido, ma può essere riconducibile ad altri contesti (quello familiare, ad esempio).
Il morso, attraverso l’intervento dell’educatrice, diventa un’esperienza educativa che può insegnare ai bambini a condividere un giocattolo, ad esprimere la gelosia in modo appropriato, ad aspettare, a manifestare il proprio desiderio di conoscenza degli altri bambini in modo diverso.
Quando i genitori si trovano di fronte ad un morso è necessario pensare che questa manifestazione rappresenta per il bambino piccolo, specie se non ha ancora imparato a parlare, uno strumento di espressione delle proprie ragioni, esigenze, emozioni.
Il nido, insieme alla famiglia, svolge il ruolo fondamentale di “scuola di relazioni”: l’educatrice trasmette gradualmente il senso del limite, la regola “non si mordono gli altri bambini” e aiuta il bambino a comprendere che l’espressione di sè trova un confine nei bisogni e nella sensibilità dell’altro. I bambini piccoli non hanno la capacità di mettersi nei panni dell’altro, capacità che può avere un adulto, pertanto questa capacità va costruita giorno per giorno, verbalizzando al bambino che morde le emozioni provate dal bambino che e stato morso (“gli hai fatto male, vedi sta piangendo”), facendo attenzione a non dare giudizi sul bambino. E’ il comportamento “dare i morsi” che è sbagliato, non il bambino che è sbagliato.
Aiutare i bambini a consolidare la fiducia in se stessi ed a sviluppare una positiva immagine di sè attraverso l’apprezzamento e la valorizzazione delle proprie capacità, diventa un importantissimo “strumento di cura” dell’aggressività.
Concludendo possiamo dire che morsi, graffi e spinte e anche le prime “brutte parole” che al nido a volte si manifestano, possono tradursi in carezze, rispetto e dialogo solo in un clima non colpevolizzante, capace di porre la regola e il limite, ma anche di accogliere l’altro.
ALCUNE DOMANDE….
Per quanto riguarda i morsi, se per il bambino sono un gioco? A casa mio figlio (circa 20 mesi) mi morde, poi ride, è come se si aspettasse di vedere ridere anche me!
Per il bambino, in questa fase della crescita, il morso è davvero un gioco, una modalità di entrare in relazione, però è un comportamento che deve essere regolato dal genitore: si può far capire al bambino che è doloroso per chi lo riceve (“fa male”), che e più divertente giocare ed avvicinarsi agli altri con modalità diverse. In questo modo il bambino troverà le stesse risposte a casa come al nido e possiamo aspettarci che, con il tempo, grazie alla ripetizione dell’esperienza, abbandonerà questa modalità di gioco e di interazione per sostituirla con altre reciprocamente gradevoli.
Mio figlio è tornato a casa dal nido con il segno di un morso, mi ha riferito il “colpevole”, poi il giorno successivo mi ha proprio indicato “E’ stato lui!”. Si aspettava che rimproverassi il compagno, io non sapevo che dire…
Ritengo che se il conflitto, il morso, sia avvenuto all’interno del nido, sempre all’interno del nido debba risolversi la questione: ci fidiamo della professionalità delle educatrici che avranno valutato come intervenire. Noi, dall’esterno, non abbiamo la possibilità di sapere come si e svolto il conflitto (se poi di conflitto si trattava), nè come sono intervenute le educatrici, ed è l’intervento immediato quello che conta ed è efficace. Inoltre, i bambini possono essere più o meno affidabili nei loro racconti, magari ci riportano avvenimenti per loro significativi, avvenuti in precedenza, non è detto che siano gli stessi cui noi ci riferiamo.
Posso dire che può anche accadere che ci siano bambini che effettivamente hanno dato più morsi di altri e sono quindi identificati come “quelli che da nnoi morsi”. Questo comporta alle volte che ad un certo punto ogni volta che qualcuno riceve un morso, per i bambini è sempre stato Davide (chiamiamolo cosi). E’ stato Davide anche se quel giorno è assente! Questo esempio ci rimanda all’importanza di evitare etichette, soprattutto in un’età cosi precoce: se ci aspettiamo che un bambino si comporti da aggressore, o al contrario da vittima, tenderemo a rinforzare, in modo inconsapevole, in base alle nostre credenze e aspettative, proprio quei ruoli di aggressore o vittima. Se nostro figlio torna dal nido con segni di morsi o graffi, è giusto consolarlo, se è il caso (perché, per esempio, lo ripete il bambino stesso) si può confermare la regola “Non si fa!” e ricordiamo che le educatrici sono sempre presenti e attente, ma prevenire o fermare un morso non è sempre possibile, per la rapidità e l’immediatezza con cui può avvenire. Successivamente, però, il morso diventa esperienza educativa: le educatrici valutano la situazione e intervengono.
Anna Maria Montanaro