I compiti, i ruoli principali che i genitori si assumono nel crescere un figlio si possono riassumere nella funzione di protezione e nella funzione di normativa: i bambini, cioè, crescono all’interno di una relazione molto significativa con chi si prende cura di loro, accudendoli, proteggendoli e dando loro dei confini e delle regole.
La funzione di protezione ha a che fare con l’accudimento: lavare, vestire, nutrire, offrire spazi e stimoli adeguati, ecc.; l’altra funzione, quella normativa, implica la capacità di regolare, contenere, dare limiti, in modo che i bambini incontrino, a piccoli passi, il mondo della realtà. La realtà, noi adulti lo comprendiamo bene, è fatta di limiti e regole: nessuno può pensare di vivere nel mondo reale facendo sempre quello che gli pare.
I bambini hanno bisogno di essere introdotti, con l’aiuto e la presenza affettiva dei genitori, a crescere riconoscendo che la realtà e l’avere relazioni con gli altri impone dei limiti ai propri desideri. Hanno bisogno di sentire che ci sono una mamma e un papà attenti ai suoi bisogni, che lo amano, lo accudiscono ma sono anche capaci di “tenerlo”, di fermarlo”. Imparano che esistono piccole frustrazioni e che possono sopportarle. In assenza di limiti precisi, i bambini non impareranno ciò che è bene per loro e ciò che non lo è, chi sono e chi non sono, saranno probabilmente confusi e agitati.
Dunque impegnarsi a dare limiti e regole al proprio figlio è importante quanto offrirgli il cibo e l’acqua: significa sostenere la crescita affettiva del bambino, la sua capacità di affrontare la realtà e di avere relazioni con gli altri.
I bambini iniziano a “reclamare” regole soprattutto verso i due anni, perchè a questa età inizia la fase dell’indipendenza, dell’opposizione, una fase attraverso cui i bambini iniziano a percepire se stessi rispetto ai propri adulti di riferimento, sia a livello fisico sia a livello psicologico. Comprendono di non essere un prolungamento della mamma o del proprio adulto di riferimento, ma di poter compiere delle scelte (seppur a volte “sbagliate”) in autonomia, che possono portarli alla soddisfazione del loro desiderio. Questo fa emergere però nei bambini un’insieme di emozioni, di energie, di sentimenti che non riescono a controllare, a gestire, che li porta ad essere in balia di loro stessi: serve la presenza di un adulto autorevole. Dare le regole significa far percepire l’adulto come un punto fermo, il quale darà al bambino una sorta di recinto, di muro, entro cui stare e oltre al quale non può andare. Ecco allora che le emozioni di cui il bambino si sente in balìa vengono contenute dal “no” dell’adulto, il quale si guadagna la fiducia del bambino, che lo ritiene colui al quale affidare ciò che da solo non riesce a gestire. E’ un diritto del bambino ricevere regole e un dovere dell’adulto dargliele.
Un “no” non è necessariamente un rifiuto o un atto di prepotenza, è anche dimostrazione di fiducia nelle capacità dell’altro di farcela da solo, un incentivo all’autonomia. Il “no” è stabilire una distanza tra un desiderio e la sua soddisfazione, uno spazio in cui possono verificarsi altri eventi, un’occasione per l’apertura alla creatività. Il bambino che deve aspettare o rinunciare impara ad essere flessibile e paziente, a cercare delle alternative purchè naturalmente il “no” sia ragionevole e non generi disperazione.
Le difficoltà e le frustrazioni nate da un “no” o dalla negazione di un desiderio aiutano i bambini a tirar fuori le loro risorse e le loro capacità; aiutano, una volta superata l’emozione del momento, ad aumentare la loro autostima e la fiducia in se stessi. Se il bambino non incontra mai dei “no”, se non gli si proibisce nulla, gli si toglie anche la possibilità di sperimentare la frustrazione, l’attesa, la soddisfazione del desiderio, la possibilità di trasgredire, tutti aspetti con i quali dovrà confrontarsi nella vita.
Non esiste un “ricettario” sul come, quanto e quando dire di no ai propri figli; ognuno ha bisogno di trovare i propri strumenti, le proprie modalità per esprimere con fermezza, costanza, coerenza ciò che nella propria famiglia si può e non si può fare.
Essere fermi non significa essere cattivi: il bambino ha bisogno di sentire che è il genitore che guida, non viceversa, altrimenti si sente insicuro e disorientato. E’ importante altresì che le regole dell’ambiente in cui il bambino si muove siano chiare, costanti, coerenti, cioè prevedibili nel tempo, dunque condivise dalle figure educative e adeguate al livello di sviluppo del bambino. In questo modo può acquisire un’idea chiara di cosa è consentito oppure no, di cosa è sicuro o invece pericoloso, di cosa è temibile o no.
E’ necessario che il genitore trovi la giusta misura nell’imporre regole e divieti: questi non devono essere eccessivi perché altrimenti il bambino tenterà di aggirarli o inibirà il proprio desiderio di esplorare; non devono essere troppo fragili e incoerenti perché il bambino necessita di punti di riferimento solidi e stabili per crescere.
Ogni famiglia ha il proprio stile educativo, i propri valori, la propria storia, perciò non è possibile definire un elenco di regole universalmente valide; però, sintetizzando, è bene sottolineare le seguenti caratteristiche:
• le regole vanno decise dagli adulti e non dai bambini, i quali hanno il diritto di vivere la loro dimensione infantile;
• le regole devono essere concordate da entrambi i genitori;
• le regole devono essere idonee all’età del bambino;
• le regole non devono variare di giorno in giorno, devono essere stabili.
Tutti sappiamo che non e facile sentirsi dire “no”, perciò se rifiutiamo al bambino qualcosa che desidera, dobbiamo essere pronti ad accettarne la reazione: sono gli adulti responsabili delle scelte educative verso i bambini, non possiamo chiedere loro di rassicurarci con reazioni “comprensive”, piuttosto dovremo essere pronti ad accettarne la rabbia. Alcuni bambini manifestano, soprattutto dopo i due anni, vere e proprie “crisi di rabbia”, momenti molto impegnativi sia per chi li vive sia per chi vi assiste. E’ normale e sano provare rabbia, i bambini però non imparano da soli a gestire i propri impulsi, hanno bisogno del nostro contenimento. Tendono a tradurre subito in azione i propri stati interni, è il genitore che funge da contenitore protettivo: capisce lo stato interno del bambino e glielo rimanda in maniera più accessibile, più mediata.
L’adulto può aiutare il bambino a riconoscere il suo tumultuoso stato interno ed a dargli un nome, un significato: “Vedo che sei arrabbiato, forse è perché…”, questo lo fa sentire compreso e lo stimola ad imparare a verbalizzare lui stesso le proprie emozioni e motivazioni. Può suggerirgli modalità alternative nell’affrontare la situazione; talvolta, se il bambino ha perso il controllo di sé e non risponde al contenimento verbale, può essere necessario il contenimento fisico (es. prenderlo in braccio, tenerlo saldamente). E’ importante aiutare il bambino a calmarsi, di fronte al comportamento provocatorio dare il messaggio che siamo in grado di fermarlo, che non lo lasciamo in balìa di se stesso e che di lui possiamo accettare non solo la parte “buona”, ma anche quella “meno buona”.
Spesso le manifestazioni di protesta dei bambini vengono messe in scena nei luoghi e momenti meno opportuni come i luoghi pubblici (ad esempio il supermercato), mettendo il genitore in imbarazzo e alimentando ansia e conflitti. Il bambino ha bisogno di trovare nel genitore una risposta ferma e sicura, che contenga la sua rabbia, angoscia e paura. Per il bambino le crisi di collera sono intense, rapide, arrivano come fulmini a ciel sereno che passano allo stesso modo in cui sono venute; il bambino dopo avere sbollito la rabbia, non aspetta altro che essere di nuovo accolto dal genitore, per calmarsi davvero. Se la situazione è meno tesa può essere opportuno lasciarlo sfogare, anche lasciandolo da solo con se stesso, aspettando che passi e torni più sereno.
E’ importante evitare di tenere il broncio al bambino per non comunicargli che la sua rabbia è stata distruttiva per i genitori: il timore più grande del bambino. E’ altrettanto importante sottolineare l’azione sbagliata, salvaguardando la personalità del bambino con frasi come “hai fatto male a fare questa cosa” piuttosto che dire “sei sempre cattivo”, dando un giudizio di valore alla persona.
La fatica del genitore
E’ difficile dire di no e imporre regole ai propri figli. Molte volte l’indecisione a porre il limite è frutto del dispiacere e della frustrazione che i genitori sentono di dover dare al bambino. Alcuni adulti, pur di evitare questa esperienza negativa, rinunciano a porre norme e limiti: l’identificazione con il dolore del bambino è totale e l’adulto non riesce a sopportarlo. In questo modo ci si aspetta che i bambini “capiscano” da soli il valore delle regole e trovino da soli la forza di autoimporsele, costringendoli ad un improbabile, ingestibile sforzo di autocontenimento.
Chiediamo ai bambini di fare spontaneamente ciò che è troppo faticoso e frustrante fare come adulti.
Ogni genitore farà i conti, inoltre, con il proprio personale rapporto con le regole, con lo stile educativo con cui e stato cresciuto.
Ricordiamo infatti che prima di essere genitori siamo stati figli. I nostri bambini, nei loro atteggiamenti e nelle loro modalità relazionali, evocano in noi sentimenti, emozioni e vissuti legati alla nostra infanzia. Questo ci porta talvolta a riattivare, nella relazione con loro, quel lato di noi legato alla nostra personale dimensione infantile.
Non di rado il tipo di relazione che abbiamo sperimentato con i nostri genitori riemerge nella relazione con i nostri figli. Quante volte ci siamo detti “Io quando sarò padre o madre questa cosa non la farò!” e poi ci troviamo a ripercorrere delle impronte già tracciate per noi dallo stile educativo ed affettivo dei nostri genitori? La relazione con il nostro bambino/a rimanda ad un modello genitoriale basato su un certo stile di accudimento e fatto di regole, divieti, ammonimenti, che tendiamo a riproporre ai nostri piccoli, oppure che rifiutiamo.
Infine accade anche che il bambino reale non coincida con il bambino “immaginario”. Come mamme e come papà, a partire dal momento della scoperta di una gravidanza, si incomincia ad immaginare il proprio bimbo, inizia la fase in cui si sogna ad occhi aperti su come questo figlio/a cambierà la vita, quali equilibri nuovi porterà, quali sentimenti susciterà. Alla nascita facciamo pero i conti con il bambino “reale”, colui/colei che va ad incarnare i nostri sogni e le nostre aspettative e che mai coincide totalmente con il bambino immaginato. Ci confronteremo con qualche aspettativa delusa, con fatiche non attese e con i sensi di colpa che queste delusioni possono far emergere dentro di noi.
Io credo che solo la capacita di rimettersi in discussione come genitori, ricordando che “genitori non si nasce ma si diventa”, sia la base fondamentale da cui partire per far sì che il comportamento dell’adulto sia coerente e chiaro. Sapersi guardare dentro e, a volte, lasciarsi anche aiutare in questo percorso ad ostacoli, sia l’atteggiamento più giusto per crescere figli autonomi e sereni. Oggi come oggi avere paura di dire no ad un bambino non aiuta il suo percorso di crescita. Non si tratta di essere autoritari e di limitare ogni cosa ma di essere autorevoli nella convinzione che solo in questo modo potremo essere ciò che un figlio necessita da sempre: la sua base sicura.